Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Le due vie

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Brandi, Cesare 50 occorrenze

Le due vie

si articola come una effettiva polarità, una polarità quale può essere quella di positivo e negativo, o, nella suprema assise del pensiero, di essere

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partecipazione più attiva di quella che si configurava nella contemplazione dell’opera, anche se questa contemplazione si poneva come suprema

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del ricevente, e che questo punto di stazione, se non è integrato da quella specie di triangolazione che si produce con l’analisi della struttura del

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’impressione che quella espressione gli ha fatto, ma nell’uno e nell’altro caso si mantiene su una base soggettivistica in cui l’antinomia resterà

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degli infiniti tramiti, nello sterminato ambito dell’intersoggettività, attraverso cui quella rivelazione può avvenire, se anche, ciascuna volta, nel

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cui neppure sopravvive indenne quella specie di chiesa separata dell’architettura moderna che era rappresentata da Aalto. Si deve intanto ricordare e

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, una nuova architettura. Dall’individuazione chiara del tema spaziale dell’interno nasceva l’architettura bizantina rispetto a quella tardo-romana. Il

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degli artisti, soprattutto oggi dichiara, nello svolgimento in atto dell’arte, la sua pregnanza, talché anche più che quella del critico è la posizione

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presentazione dell’oggetto tout court tende ad affievolirsi, ad attenuarsi; a recuperare una ritmica diversa da quella dell’oggetto del mondo della vita

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assai meno illusiva, assai meno invogliante di quella che si potrebbe vedere in qualsiasi cartellone americano. Avviene cioè la stessa riduzione che in

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quella attuale che sembrerebbe pianamente attestarla. Mentre la morte hegeliana tornava di scena perché Marte non era più semantica, si veniva già a

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senso in cui quella che un tempo era corretto definire avanguardia, oggi si definisce di fatto, come sperimentalismo.»

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quella prima fase, infatti, l’investimento simbolico, che è essenziale all’artista nella scelta e la messa in posa, deve riconoscersi anche nel

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cinquant’anni da quella data, possono apparire del tutto remote. Non che, ci si intenda bene, siano divenute false, ma si prestano a ulteriori

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del modello. In questo caso dunque pittore e fotografo si interiorizzano una certa loro veduta particolare del modello e quella loro particolare

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La storia della fotografia, che pareva potersi scrivere in margine a quella della pittura, si rivela ora come la fonte più autentica per arrivare a

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’attitudine del fotografo in quanto si ponga più distante da quella dell’artista, e cioè col minimo o con l’assenza di investimento simbolico. Senza l

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e a Bischof, si assiste di volta in volta alla riscoperta di quella obbiettività, che, come diceva Paul Strand (1917), è «la vera essenza della

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storia è anche più eloquente di quella della fotografia, rispetto alle fasi di avvicinamento e di assorbimento della realtà sulla lastra, dall

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E cioè il suono fotografato ha subito un’evoluzione simile a quella dell’oggetto visivo, in quanto che dallo scrupolo iniziale di registrazione come

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indivisibile da quella della fotografia e che la fotografia non è un surrogato ma il modo stesso d’espressione del cinema: dove può rientrare suono e colore, ma

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intenzionalità, altre da quella fondamentale per cui l’opera d’arte è intenzionata come tale, non hanno diritto d’ingresso. Un nuovo investimento

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’attitudine del fotografo da quella del pittore, viene isolato ma non dialettizzato: nel secondo caso invece si avrà arricchimento legittimo, che non

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momento della recezione dell’opera d’arte come tale. La struttura tecnica — anche quella più particolarmente tettonica dell’opera — non s’identifica alla

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l’opera d’arte nel sostrato psicologico da cui nacque. Un’opera d’arte è forma, è realtà pura divisa da quella esistenziale, contrapposta a quella

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benemerita ricerca, quella che risolleva, alle radici della Scuola di Atene, la curiosa teoria, cara a Pico della Mirandola, che ogni proposizione di

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al fenomeno, quella che indaga la sua struttura formale, poiché il fenomeno non ha forma ma conformazione.

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quella intenzionalità senza di cui le opere d’arte non verrebbero alla luce. E potremo altresì valerci della testimonianza intersoggettiva e

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cui si manifesta, ma va inseguita nel vivo di quella coscienza da cui e per cui unicamente si attiva. E se allora torniamo alla sorgente, proprio un

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quella di messaggio. Si demanda allora se è consentaneo all’essenza dell’opera d’arte, che abbiamo concettualizzato come realtà pura, di rappresentare

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Dovremmo dunque ricercare qualcosa di simile non in produzioni collaterali al messaggio, ma dove si determini una presenza analoga a quella che si

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L’esempio ha dunque chiarito un punto fondamentale, e cioè quella oscura «intelligenza di se stessa» a cui deve l’opera d’arte l’apparente

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desumibili da chi intende esplicitarla nella storia in cui è nata e in quella in cui di volta in volta si rivela 30.

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Dal nostro punto di vista non conta tanto appurare l’opposizione presunta fra informazione e significato o quella fra ridondanza e originalità

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d’arte il «gruppo di elementi di percezione» è usato per suscitare, per sostanziare la presenza, e pertanto non si può dire strumentale, ma è quella

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persona che cade in terra per la strada, potrò restare in dubbio sulla causa di quella caduta — disattenzione, malore — ma questa informazione sulla

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In ordine di tempo la prima estetica della comunicazione (1934) è quella del Dewey, con la sua Arte come esperienza 32, anche se il titolo è ambiguo

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quella direzione, ai quali va aggiunto l’ultimo mosso da Garroni 52. Tentativo, questo, che denuncia implicitamente l’impossibilità di restare, per l

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forma, sia pure non posta trascendentalmente fuori della coscienza, ma individuata come realtà pura a partirsi da quella stessa intenzionalità

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varrà per quella sola astanza, e non per un nesso esistenziale o per una semiosi in atto. Sarà quella realtà non esistenziale, non significante che è l

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L’analisi strutturale dell’opera d’arte va dunque rivolta all’opera d’arte nella sua specificità, che non è quella di trasmettere dei significati

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di valore sulle opere letterarie, «le strutture della poesia s’oppongono per la loro natura intenzionale, premeditata, a quella fortuita non

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biografici e culturali dell’autore, ma non al di là di quella lingua, di quella metrica e di quei riferimenti particolari, proprio perché la poesia non è un

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identificata per il solo fatto che, ove si tolga o si modifichi una parte, l’opera d’arte cambia aspetto, ma dal riconoscimento che in base a quella

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del Palladio che è sorta su un traliccio impressionante di numeri, dovrà essere individuato il tema spaziale che quella data architettura ha inteso

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valido solo dove possa essere verificato. La vera disintegrazione non è dunque quella dell’a-priori kantiano, ma della concezione deterministica del mondo

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intervenire quella verifica sperimentale che consente di trasformare una successione nel tempo in un nesso causale.

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dell’Ottocento ne è stato permeato. Né è rimasto campo dell’attività umana che non abbia ricevuto una teorizzazione che seguisse o riflettesse quella

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radicale della storia come catena di cause, in quella di Croce, cioè, a cui non riuscì di eliminare ad ogni livello la ricerca delle cause; «se ci

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storia è quella causale: ed è qui allora che si ripresenta la possibilità di configurare l’una e l’altra sotto specie di quel principio di

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